Area notizie

La celebrazione solenne di san Francesco patrono d'Italia 2025 è stata presieduta nella chiesa superiore della Basilica dal Presidente della Conferenza Episcopale Abruzzo-Molise, S.E. Mons. Camillo Cibotti, vescovo di Isernia-Venafro e Trivento. Ecco il testo integrale della sua omelia:


Carissimi fratelli e sorelle,

sono profondamente grato al Signore per il dono di poter celebrare con voi questa Eucaristia. Ed è con questo stesso sentimento che saluto tutti i presenti e tutti coloro che ci seguono attraverso i mezzi di comunicazione: il popolo di Dio, le religiose e i religiosi, i confratelli vescovi e sacerdoti, le autorità civili, militari e religiose, i rappresentanti del Governo.
Da questo posto, in questo momento, il cuore non può che sperimentare e condividere la gratitudine.
È essa che accompagna le parole che Gesù pronuncia nel Vangelo:” Ti rendo lode, Padre…”.
È essa che fa concludere a San Francesco molte delle lettere con la stessa espressione: “Ti rendiamo grazie”.
È essa che spinge tutti noi ad essere presenti qui, oggi in modo particolare.

Una buona parte di voi viene dall’”Abruzzo forte e gentile”. E io sono uno di voi: siamo qui mossi dal desiderio di offrire quanto più genuinamente ci rappresenta: l’olio ricavato dai rigogliosi alberi d’ulivo che impreziosiscono la nostra bella terra, perché alimenti la lampada che arde davanti alla tomba del Santo di Assisi.
Una gran parte di voi viene da ogni luogo d’Italia e del mondo.
E io sono uno tra voi: siamo qui perché riconosciamo che è olio particolarmente profumato l’esempio di vita veramente evangelica che Francesco ci ha continuamente offerto e a cui siamo venuti tante volte ad attingere, per alimentare la nostra lampada, ovvero la nostra fede e la nostra esistenza.
E, allora, quale olio abbiamo ricevuto in dono ogni volta che abbiamo guardato a quest’uomo di Dio e rivolto lo sguardo a ciò che il Signore ha compiuto in lui? Quale olio di gratitudine ha alimentato le nostre case, come a Betania, ogni volta che siamo venuti ad Assisi?
Sembra volerlo rivelare la Parola di oggi.

Il testo del Siracide, nella prima Lettura, ci permette di assimilare Francesco a Simone, figlio di Onia, sommo sacerdote: il poverello di Assisi si rivela così come colui che “nella sua vita riparò il tempio” (Sir 50, 1), come colui che “come sole sfolgorante…rifulse sul tempio dell’Altissimo” (v. 7). La vita di Francesco, allora, viene a rivelarci lo splendore dell’olio della cura: la cura dell’uomo, del fratello, divenuto figlio nel Figlio.
Il Salmo 15 manifesta un altro aspetto della vita di Francesco: egli è colui che benedice il Signore per il cuore da Lui abitato, anche nelle notti (Sal 15, 7). Allora, la vita di questo santo ci fa intuire il gusto dell’olio dell’abbandono fiducioso alla volontà del Padre.
Le parole di Paolo ai Galati, nella seconda Lettura, invece, lasciano emergere un’altra caratteristica di Francesco: la novità di vita. Egli vive un’esistenza piena di straordinari colpi di scena, che si dipana tra intrecci di sfrenatezza e di spensierata goliardia, fino ad arrivare allo scandalo dell’abbandono delle ricchezze e a culminare nella considerazione della croce come unica meta del suo percorso, come unica ragione di vita. Egli è l’uomo che insegna al mondo un modo diverso di sentire, di pensare, di vivere Cristo. La sua vita ci mostra e dimostra la preziosità dell’olio nuovo, dell’olio del nuovo che lo Spirito Santo porta nelle nostre esistenze.

In Francesco tale novità è totale: egli diviene “alter Christus”, fino a soffrire del suo stesso dolore, fino ad amare del suo stesso amore. Lo attestano i segni della passione del Signore che si fecero presenti nel suo corpo. Così, con il suo esempio, egli spande nelle nostre vite il profumo dell’olio della perfetta letizia: quello che scaturisce dalla vita di chi è disponibile ad amare fino a soffrire, di chi riconosce il dolore come una forma di amore.
Francesco si rivela così discepolo di quel Maestro mite e umile che prende parola nel Vangelo di oggi.
È piccolo: si riconosce fragile, stanco, oppresso e per questo il Signore del cielo e della terra gli rivela le sue “cose”, i suoi misteri.
Si fa povero: rinuncia a dare spazio e voce al dotto e al sapiente (che abitano in ognuno). Egli smette di pensare di poter comprendere tutto o di illudersi che la vita passi dalla conoscenza o attraverso le maglie strette dell’intelligenza.
Diviene discepolo: decide di seguire Cristo andando al Suo passo, portando il Suo peso, procedendo nella direzione che Egli indica.

Come lui, proviamo anche noi a coltivare il nostro essere piccoli e poveri, il nostro essere discepoli. Come lui coltiviamo la pace.
Abbiamo tutto da imparare: ognuno di noi è chiamato a scoprire la tenerezza e la grandezza di Dio, come Maria nel Magnificat.
Così sia!