Il calice di Niccolò IV - Il Museo del tesoro della basilica ospita il prezioso calice del primo Papa francescano Niccolò IV (1288-1292), che lo donò alla basilica.
Fu realizzato dall’orafo senese Guccio di Mannaia, che firmò l’opera sul gambo del calice con l’iscrizione maiuscola gotica di elevata qualità grafica:

NICCHOLAVS PAPA QUARTVS
GVCCIVS MANAIE DE SENIS FECIT.

L’autore realizzò una coppa a forma di ellisse, sorretta da uno stelo slanciato che poggiava a sua volta su una base e interrotto da un nodo sferico schiacciato e ornato da chiodi.
Il calice è alto 35 centimetri, è in argento dorato e decorato con 80 smalti traslucidi di cui due mancanti. Sono ordinati dalla base al gambo, per formare un programma iconografico relativo all'eucarestia. La base è decorata con 32 placche, ciascuna incorniciata da una fascia di perle attraverso cui sono lavorate foglie battute, di cui la più bassa rappresenta la crocifissione e alcuni mezzi busti della Vergine, S. Giovanni Battista,
S. Francesco, S. Chiara, S. Antonio di Padova, la Vergine, il bambino Gesù e Niccolò IV. Le placche più piccole rappresentano i simboli dell'evangelista e vari animali, il bocciolo otto volte sfaccettato ha medaglioni
di smalto circolari di Cristo redentore e sette mezzi busti degli apostoli.

L’importanza di questo capolavoro di oreficeria medievale è che Guccio rinnovò la forma tradizionale del calice, creando un modello di riferimento che fu ripetuto fino al periodo della Controriforma nel tardo cinquecento. Sarebbe stato completato nel 1292, infatti è datato 5 luglio il pagamento per atto notarile in cui ci è confermato nuovamente l’autore: Guccio Mannaiae aurifici.
Il calice era presente fin dal primo inventario della basilica risalente al 1298, ma con maggiori dettagli in quelli successivi del 1370, del 1441 e del 1473, sempre inserito nell’elenco delle reliquie. Invece dall’inventario del 1441, sappiamo che era accompagnato da una patena su cui era disegnata l’ultima cena che purtroppo non ci è giunta. Il Papa concesse quaranta giorni di indulgenza a chi avesse celebrato l’eucarestia con il suo calice. Probabilmente fu nascosto dai frati durante la soppressione francese, infatti non appare tra gli oggetti elencati nell’atto di soppressione. Riuscì a passare indenne quella italiana, forse fu fatto passare come calice in uso per le celebrazioni.
L’ultimo intervento di restauro risale al 2015, ad opera del Laboratorio di Restauro dei Metalli e delle Ceramiche dei Musei Vaticani, con la direzione di Antonio Paolucci. Nonostante abbia otto secoli circa di vita, il
calice è un vero trionfo di luce che dovette colpire per la sua bellezza i presenti, ed è considerato un capolavoro di oreficeria. Probabilmente fu utilizzato soltanto in poche occasioni, tale da renderlo immune
dal logorio dell’uso e inalterato per tutto questo tempo.

Fra Felice Autieri

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