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Omelia di fra Marco Moroni, Custode del Sacro Convento, nella messa per la Dedicazione della Basilica, 24 maggio 2021 -

Pace a voi fratelli e sorelle.
Il saluto di pace a tutti voi che componete la variegata famiglia francescana; a voi, rappresentanti delle Istituzioni cittadine e anche a voi tutti che siete qui presenti e che ci seguite da casa.

È una grande gioia per me presiedere questa celebrazione eucaristica, gioia motivata da tanti elementi che si intrecciano fra loro.
Senza dubbio il primo è dato dall’occasione della solennità della Dedicazione della Basilica, alla quale c’è in progetto da alcuni anni di dare maggiore rilievo, pensando anche ad una rievocazione storica che coinvolga la città, i partecipanti al Calendimaggio, i membri delle confraternite. Fratello Covid per ora ha bloccato questi progetti, ma spero che dal prossimo anno si possano realizzare.
Il secondo elemento è il fatto di trovarci qui, tra francescani delle diverse famiglie, maschi e femmine, religiosi e laici, accomunati dallo stesso carisma che si esprime in modi molteplici. Ci ritroviamo insieme finalmente (l’anno scorso non è stato possibile in queste modalità), mentre sembra profilarsi l’uscita dalla situazione di pandemia che ci ha tenuti lontani, distanti e che ancora però, purtroppo, attanaglia tanti paesi del mondo.
Altro motivo di gioia il fatto che questa celebrazione si pone a conclusione di quello che potremmo chiamare il tempo capitolare della nostra fraternità custodiale. La settimana scorsa infatti abbiamo vissuto la seconda parte del Capitolo custodiale, un momento di grazia nel quale abbiamo sperimentato più profondamente l’essere comunità in cammino e abbiamo intuito i percorsi per i prossimi anni, accompagnati da una frase di san Bonaventura, che racconta di come Francesco «era solito ricercare con singolare zelo la via e il modo per servire più perfettamente Dio, come a Lui meglio piace». Così vorremmo fare anche noi in questo quadriennio.

Uno egli elementi che mi affascinano di questa Basilica è il fatto che la tomba di san Francesco si trova in profondità, dentro una sorta di pilastro, alla base di tutta la costruzione. La tomba dell’alter Christus è divenuta pietra d’angolo, scelta e preziosa. Se Francesco, nel sogno di Innocenzo III, sosteneva con le sue esili spalle la Basilica del Laterano, ora da ottocento anni le sue fragili ossa reggono simbolicamente la mole grandiosa di tutto questo complesso, ma ancor più, sostengono i cammini di miriadi di uomini e donne che si sono lasciati coinvolgere dalla sua proposta di vita, dalla sua piccolezza, dal fascino della sua predicazione semplice e della sua testimonianza generosa e appassionata.
Noi siamo tra costoro e, senza orgogliosa ostentazione ma con umile consapevolezza potremmo dire, echeggiando la prima lettera di Pietro, che siamo una stirpe eletta, un popolo che lui si è acquistato o meglio – Francesco direbbe – che gli è stato donato.

“Dio mi donò dei fratelli” dice infatti Francesco: siamo gli eredi di lui e di quei quattro i cui resti riposano ancora attorno ai suoi, i nomi dei quali – li amo ricordare – ci fanno respirare la dolce bellezza delle origini, dirompente e disarmante: Leone, Masseo, Angelo, Rufino; siamo gli eredi di colei che giace proprio dirimpetto a Francesco, donna Iacopa, nobile amica, sensibile e accorata; e poi di Chiara, e di Elia e di tutte quelle pietre vive che hanno creduto all’amore e che in ottocento anni di storia sono state poste dall’abilità del sapiente Costruttore ad innalzare il grande edificio spirituale della fraternità. Alcune possenti, alcune friabili, alcune levigate, altre più ruvide, alcune ben visibili e decorative, altre nascoste ma di sostegno, tutte cementate dal Vangelo, tutte importanti e necessarie, ieri come oggi.

Appunto: oggi.
A che cosa ci chiama oggi la nostra comune appartenenza?
La Basilica costruita in pietra ha bisogno di manutenzione e di restauri, può essere oggetto di interventi che ne migliorino la sicurezza e la stabilità e ne assicurino la migliore fruizione; la Basilica fatta di persone richiede la cura quotidiana di tutti e di ciascuno perché siamo docili all’azione e alla fantasia dello Spirito santo che ieri abbiamo celebrato nella solennità di Pentecoste e che continua a soffiare sulle nostre fraternità.
Quando papa Francesco ci accolse il 23 novembre 2017 come rappresentanti del primo e del terzo ordine regolare per l’udienza nella sala Clementina, ci disse: «Nella vostra forma di vita, l’aggettivo “minore” qualifica il sostantivo “fratello”, dando al vincolo della fraternità una qualità propria e caratteristica: non è la stessa cosa dire “fratello” e dire “fratello minore”» (e penso ovviamente che questo valga anche per le sorelle!).
E tracciò tre linee direttrici lungo le quali esprimere questa minorità, segno distintivo del francescanesimo, che provo ora a riesprimere.
La minorità è luogo di incontro con Dio, riconosciuto come “tutto il bene, il sommo bene” al quale, restituire ogni cosa, attraverso la lode e attraverso la logica evangelica del dono, umili e confidenti, consapevoli della nostra infinita piccolezza di fronte a lui, altissimo, onnipotente e buono.
Essa è luogo di incontro con i fratelli e con gli uomini e le donne, evitando qualsiasi comportamento di superiorità, sradicando i giudizi facili sugli altri, sottomessi ad ogni umana creatura per amore di Dio, facendoci spazio accogliente e disponibile perché tutti i minori del nostro tempo, i poveri, gli sfruttati, i sofferenti trovino posto nella nostra vita.
La minorità infine è luogo di incontro con il creato, prestandogli la nostra voce per lodare il Creatore, e – aggiungo – andando per il mondo e proclamando il vangelo a ogni creatura, come raccomanda il Signore risorto nelle righe conclusive del vangelo di Marco.

Siamo chiamati a vivere tutto questo insieme accogliendo l’invito ad essere costruttori di fraternità e di comunione, cominciando – per quanto ci riguarda più da vicino – dal nostro quotidiano, dai rapporti interpersonali, dalla nostra famiglia francescana, per rendere visibile la presenza di Gesù in mezzo a noi e così donarla al mondo in una decisa tensione verso la dimora definitiva di Dio con gli uomini, la Gerusalemme celeste di cui ci ha parlato la prima lettura.
È il cammino che insieme siamo chiamati a compiere avendo davanti un tempo ricchissimo di richiami offerti dai centenari francescani dei prossimi anni.
Ci poniamo perciò sotto la guida dello Spirito e chiediamo forza, desiderio di camminare insieme e capacità di condividere sogni grandi e ampie visioni.

Chiediamo l’intercessione di san Francesco e invochiamo anche la protezione e la custodia da parte di Maria, Madre della Chiesa, come oggi la ricordiamo, colei alla quale è dedicata questa chiesa superiore.